Si deve dire, a questo proposito, che le indagini del Congresso sull’influenza comunista nell’industria dello spettacolo e le liste nere che ne sono derivate – il tema comune di “The Front”, “Scoundrel Time” e “Hollywood on Trial” – sono soggetti quasi idealmente adatti a sostenere questo (falso) immaginario di innocenza. Lo scenario abbonda di vigliacchi facilmente riconoscibili, dai membri del Congresso che cercano di accaparrarsi un titolo ad ogni costo, ai vili dirigenti dell’industria preoccupati solo di proteggere le loro carriere e i loro investimenti, agli ex compagni che cercano di salvarsi il collo. Le indagini e le audizioni sono state spesso condotte in modo spaventoso. La loro stessa natura ha creato una situazione in cui l’informazione è diventata una carriera in sé, e persone innocenti sono state calunniate e persino distrutte da false accuse.

Da ciò non deriva, tuttavia, che tutte le accuse fossero false. Meno facilmente riconoscibili, dal punto di vista attuale comunque, sono gli altri cattivi della storia: molti ricchi e devoti comunisti dell’industria che – sia perché era la linea del partito a farlo, sia nella speranza di salvarsi il collo – rinnegarono i loro impegni e le loro convinzioni, creando così un’atmosfera di caos e pericolo per i veri innocenti. Scrivendo dei Dieci di Hollywood in “A Generation on Trial” (1952), un libro generalmente simpatico ad Alger Hiss, Allistair Cooke osservò che “si rifiutarono di dire se erano comunisti, in una serie di udienze che i testimoni, proprio come il Comitato, furono responsabili di aver trasformato in una squallida e chiassosa parodia di un tribunale”. Nonostante i migliori sforzi del signor Reisman e del regista di “Hollywood on Trial”, David Helpern Jr., per farci pensare il contrario, il contributo dei Dieci di Hollywood a questa “squallida e chiassosa parodia” emerge forte e chiaro nei vecchi filmati delle udienze.

Ancora, il mito della totale innocenza deve essere sostenuto anche quando è contraddetto dai fatti riconosciuti. Quando Dalton Trumbo è morto il mese scorso, il New York Times ha riferito nel suo necrologio che ha ammesso nel 1970, quando è stato riportato al sicuro nel trifoglio di Hollywood, di essere stato membro del partito comunista dal 1943 al 1948, e di nuovo brevemente nel 1954 – un fatto convenientemente omesso dalla volubile intervista con Trumbo che fa parte di “Hollywood on Trial”. Né, nel suo serio sforzo di ritrarre i Dieci di Hollywood come campioni della democrazia e degli sfavoriti, il film cita lo stesso spregevole commento di Trumbo su questo impegno: “Non ho mai considerato la classe operaia altro che qualcosa da cui uscire.”

Per quanto riguarda l’industria, sulla quale “The Front” e “Hollywood on Trial” sono così devoti, essa rispondeva come l’industria risponde sempre a qualsiasi minaccia manifesta ai suoi profitti – con qualsiasi miscela di cautela, codardia, prudenza, ipocrisia, dissimulazione e piano di emergenza -, che riteneva necessaria alla sua prosperità e sopravvivenza. Questa era l’etica dell’industria quando i Dieci di Hollywood – e anche Lillian Hellman – erano annoverati tra i suoi fedeli, viziati e costosissimi scribacchini. Era l’etica dell’industria quando ha messo in atto le sue liste nere. E l’etica dell’industria è diversa oggi, mi domando, quando molti degli ex-eletti neri sono di nuovo contenti di essere i beneficiari dei suoi enormi stipendi e del suo specioso glamour?

La storia di questo periodo, soprannominato “Scoundrel Time” da Miss Hellman, è tutt’altro che semplice, ma questo è precisamente ciò che “The Front” e “Hollywood on Trial” ci spingono a credere – che le questioni fossero tutte molto semplici, una questione di buoni contro cattivi, con tutta la virtù che spettava a coloro che, in linea di principio, negavano al governo il diritto di indagare su quelle che riteneva essere minacce alla sua sicurezza, e sfidavano qualsiasi processo governativo che potesse illuminare tali minacce. In “Il Fronte”, con le sue caratterizzazioni da cartone animato, il personaggio interpretato da Woody Allen ottiene la ragazza sfidando la commissione che indaga sul suo legame con gli scrittori comunisti o compagni di viaggio che ha coperto. Lo schlep diventa un eroe morale, e i bravi ragazzi wia. In questo scenario, come in “Hollywood ton Trial”, l’unica vera minaccia è il governo stesso, e quegli opportunisti che hanno sfruttato un clima di frar.

Il clima ora è molto diverso, naturalmente. I radicali sono chic, l’FBI è sotto una nuvola, e la vecchia lista nera è diventata un albo d’oro. Viene convenientemente dimenticato che una volta c’erano altre liste nere. In “Hollywood on Trial”, solo il regista Edward Dmytryk – uno dei dieci di Hollywood – allude alle liste di anticomunisti a cui fu negato il lavoro quando l’influenza stalinista era al suo apice. Non vengono nemmeno menzionati i feroci attacchi che i liberali e i radicali anticomunisti erano costretti a subire ogni volta che tentavano di rivelare la sanguinosa verità su quelli che Miss Hellman descrive ora delicatamente come i “peccati” del regime stalinista. Chi potrebbe indovinare, guidando la prosa soigné di “Scoundrel Time”, che la signorina Hellman una volta era una dei più vigorosi difensori pubblici di quei “peccati”, che persino Khrushchev non esitò a chiamare crimini che coinvolgevano l’assassinio di centinaia di migliaia, eventualmente milioni, di vittime innocenti? Forse ha dimenticato che si era unita ad attaccare il filosofo John Dewey, un pilastro dell’establishment liberale, per aver convocato una commissione d’inchiesta sulla verità dei processi di Mosca. Il clima ora è davvero molto diverso – è un’amnesia.

Così siamo trattati, nel corso di “Hollywood on Trial.Così, nel corso di “Hollywood sotto processo”, ci viene offerto uno sguardo al più noto dei film hollywoodiani pro-comunisti, l’egregio “Missione a Mosca”, con la sua scena di questi stessi processi di Mosca che ci mostra uno dei vecchi bolscevichi che “confessa” di essere un agente tedesco pagato e uno Stalin dalla faccia sconvolta che brilla di fiducia e saggezza, e ci si aspetta chiaramente che approviamo. Siamo trattati con una conferenza, in “Scoundrel Time”, sul presunto fallimento delle “buone riviste, quelle che pubblicavano gli scritti più seri. . .di venire in aiuto di coloro che erano perseguitati.”

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