Il grande dittatore – la magistrale satira di Charlie Chaplin su Adolf Hitler – iniziò le riprese nel settembre 1939, proprio all’inizio della seconda guerra mondiale. Quando uscì nel 1940, l’Asse era stato formato e i nazisti stavano già occupando gran parte della Francia. La minaccia non era affatto astratta: il critico Michael Wood nota che il film fu proiettato per la prima volta in dicembre, a Londra, tra i raid aerei tedeschi. Il dicembre successivo, quello del 1941, avrebbe prodotto le sue stesse devastanti minacce aeree – questa volta sul suolo americano, che avrebbero chiarito agli americani la realtà di questa guerra portandola a casa.

Era, in altre parole, uno strano momento per fare una commedia su Adolf Hitler – anche una satira che lo chiamava in causa, e anche una in cui Chaplin stesso, che a quel punto era una delle più famose star del cinema al mondo, famoso per aver interpretato l’amabile e ambiguo Little Tramp, assumeva il ruolo di Hitler. Nel 1940, la Germania e gli Stati Uniti non erano ancora diventati nemici; si temeva che un film del genere avrebbe arruffato le penne. Ma Chaplin era già involontariamente legato alle iconografie del male dell’epoca. Il suo ritratto, il piccolo vagabondo, con quei baffi arricciati e quella faccia stranamente compatta, era già diventato un riferimento visivo per i vignettisti che prendevano in giro Hitler sulla stampa. Ed era già nel radar dei nazisti: il volume nazista del 1934 The Jews Are Looking At You lo indicava come “un disgustoso acrobata ebreo”. Chaplin non era ebreo. Ma si diceva spesso che lo fosse. E quando visitò Berlino nel 1931, fu assalito dai fan tedeschi, dimostrando che la sua popolarità poteva superare anche i crescenti confini ideologici della nascente Germania nazista – da cui il loro odio.

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Chaplin era consapevole di tutto questo e del fatto che lui e Hitler erano nati a soli quattro giorni di distanza, nell’aprile del 1889, che entrambi erano usciti dalla povertà e che avevano abbastanza punti di confronto biografico, nel complesso, da spaventare qualsiasi persona sana di mente. Non esageriamo le loro somiglianze: Uno di questi uomini avrebbe continuato a far ridere il mondo, e l’altro avrebbe iniziato una guerra mondiale e facilitato l’Olocausto. Umoristicamente, questa divisione sarebbe stata ripresa ne Il grande dittatore. Chaplin fa un doppio lavoro, interpretando i due ruoli centrali del film. Uno, il personaggio di Adenoid Hynkel, è una parodia di Hitler per mezzo di una personalità irascibile e assurdamente potente, un dittatore del paese immaginario Tomania. E nell’angolo opposto, Chaplin ci offre una variazione del suo classico Little Tramp, un barbiere ebreo che salva la vita di un alto ufficiale nella prima guerra mondiale e, dopo un incidente aereo e anni di convalescenza in ospedale, si sveglia con i semi della seconda guerra mondiale che vengono cuciti nel suo paese.

Il Grande Dittatore è un classico per un motivo. È sorprendente nelle sue rappresentazioni della violenza, che si distinguono non tanto per la loro brutalità quanto per il modo memorabile in cui descrivono il tradimento dell’umanità quotidiana da parte dei nazisti. Ed è famoso anche per il suo umorismo pieno di risorse e originale, che combina Chaplin al suo massimo incisivo e ballistico con rauche dimostrazioni di arguzia verbale. Questo fu il primo film sonoro di Chaplin; il suo film precedente, il capolavoro del 1936 Tempi moderni, era considerato quasi anacronistico all’epoca della sua uscita per essere un film muto in un’epoca sonora. Dictator si avvale di questo progresso tecnologico, facendo forse il suo pezzo più riuscito del modo in cui Hitler parla, il melange di suoni rozzi e insinuazioni brutali che hanno reso a lungo i filmati dei suoi comizi tanto affascinanti quanto spaventosi.

Il Grande Dittatore capisce Hitler come un artista, come un oratore che brandisce il linguaggio come il potere unificante e galvanizzante che è. Ma lo capisce anche come psiche. Questo naturalmente significa che è pieno di quelle che sembrano battute sofisticate, gag in cui le insicurezze di Hitler, la sua sete di influenza, le sue incoerenze ideologiche (una rivoluzione ariana guidata da una bruna?) e la zelante dipendenza dalla lealtà sono sotto tiro. Non è un ritratto psicologico, ma non è nemmeno così semplice come un trattamento da luna park della guerra in arrivo, tutto punchline e distorsioni.

È tutto un po’ più ricco di così, il che potrebbe essere il motivo per cui Il Grande Dittatore è nella mia mente questa settimana, mentre salutiamo l’uscita di Jojo Rabbit di Taiki Waititi, un film in cui Waititi stesso interpreta Adolf Hitler, non proprio in carne ed ossa, ma piuttosto come immaginato da un ragazzino nazista che lo ha trasformato in un amico immaginario. Non vado pazzo per il film di Waititi, che è meno una satira che un veicolo per una bontà morale incontrastata di fronte al male appena affrontato. Ma, come il film di Chaplin, si immerge negli stessi problemi di rappresentazione e commedia che hanno afflitto i film fin dai primi anni del regno di Hitler. Dobbiamo fare satira sui maniaci genocidi? Possiamo ridere di questo? E se è così, la linea che di solito tracciamo tra il piacere comico e l’indignazione morale – un mix che arriva facilmente alla commedia, nel migliore dei casi – può sopportare qualcosa di così inconcepibile come un’atrocità di massa?

Che il film di Chaplin riesca dove quello di Waititi fallisce è un punto abbastanza giusto, ma paragonare il lavoro della maggior parte dei comici a quello di Chaplin il più delle volte risulta in una lotta ingiusta. Ciò che conta sono le cose che tutti noi possiamo ancora imparare dal lavoro di Chaplin, fino al fatto che onora e gioca così completamente e senza ritegno con il senso di chi è il pubblico. Non sarebbe un film così interessante se il barbiere ebreo non avesse richiamato così facilmente il Piccolo Vagabondo. Ma a causa di questa familiarità, Il grande dittatore sembra molto simile a film come Tempi moderni: come una storia sui travagli di un uomo qualunque che improvvisamente, senza alcuna preparazione, viene lanciato a capofitto in un macchinario troppo grande, troppo complesso, troppo al di là di lui, per non risultare in una comica baraonda.

E’ così che si sentono le prime scene del barbiere fuori dall’ospedale, splendidamente messe in scena e ritmate da Chaplin: è come vedere il piccolo Charlot girare un angolo e camminare, completamente ignaro, verso una guerra mondiale. Vede la scritta “Ebreo” sul suo barbiere, per esempio, ma poiché è un amnesico appena uscito dall’ospedale, non ha idea del perché sia lì, e comincia a lavarla via. Questo è illegale, naturalmente, e quando i nazisti cercano di dirglielo, lui, pensando che siano dei brutali antisemiti qualunque, li innaffia di vernice e scappa. Gran parte dell’umorismo, almeno nel “Ghetto”, chiaramente delimitato, dove vive il Barbiere, si svolge in questo modo: un terrificante gioco di ironia comica in cui ciò che il Barbiere non conosce lo rafforza e minaccia di ucciderlo.

Le scene hitleriane, al contrario, sono un balletto – a volte quasi letteralmente – di alleanze e piccoli compiti. Il clou deve essere naturalmente una scena di Hitler da solo, che ha appena rinnovato la sua fede nel suo piano per conquistare il mondo, che balla con un globo gonfiato del pianeta, facendolo rimbalzare sul suo sedere, posando come una pin-up sulla sua scrivania mentre il globo galleggia senza aria verso il cielo. Non si può fare a meno di ridere. Ma quella risata non mette a tacere la sua pericolosità. Vedi il mappamondo, la facilità con cui lo solleva, lo manipola, ne fa un gioco, e capisci che questo è precisamente ciò che vuole un dittatore. È una visione incolpevole e infantile, dalla sua prospettiva, del proprio potere.

Il famoso climax de Il Grande Dittatore trova questi due uomini che si fondono, in qualche modo, in uno solo. È un discorso entusiasmante tenuto apparentemente dal barbiere ebreo, che (per ragioni che è meglio lasciare al film spiegare) è stato confuso per Hynkel dai nazisti ed è chiamato a parlare alle masse. E poi apre la bocca – e l’uomo che emerge è Chaplin stesso, che si insinua oltre i confini del personaggio, della satira, o persino del costrutto artificiale di un “film” in quanto tale.

Il discorso è una difesa dell’umanità di fronte al male grave. “Pensiamo troppo e sentiamo troppo poco”, dice Chaplin. “Più che di macchinari abbiamo bisogno di umanità. Più che di intelligenza, abbiamo bisogno di gentilezza e dolcezza”. Riconoscerete questo tema – “più che di macchine abbiamo bisogno di umanità” – in tutta l’opera di Chaplin, e qui suona particolarmente vero. Chaplin emerge, pienamente umano, come se stesso, liberandosi dagli strascichi satirici del film, per pronunciarne uno dal cuore.

È una scena che funziona bene da sola, come discorso a sé stante. Per molto tempo, è stato difficile trovare una versione online che non fosse stata modificata con la musica drammatica del “discorso cinematografico” di Hans Zimmer. I commenti su Youtube implicano una recente ripresa dell’attività, di persone che ritrovano il discorso nell’era di Trump, e questo ha senso. Ma la scena suona ancora più strana, più potente, nel contesto, dove si presta meno facilmente alla messaggistica politica meme-able, dove deve sfiorare tutto il resto del film che è venuto prima.

È sorprendente, francamente. Il tono de Il grande dittatore fino a questo punto non è mai stato così serio. Come avrebbe potuto, con il suo Hitler ballistico e le sue dittature straniere con nomi come Batteri. Dal punto di vista del 1940, Chaplin non poteva vedere dove ci avrebbe portato la guerra, e resta il fatto che alcune parti del film suonano strane – ma tanto più perspicacemente per questo – oggi. Ciò che è chiaro dai suoi momenti finali, per non parlare di gran parte del resto, è la potenza di questa tensione. Nella misura in cui può percepire ma non vedere il futuro, si potrebbe dire che Il grande dittatore è un film fatto in una nuvola di relativa ignoranza. Eppure guardate quanto dice, quanto si spinge lontano. Rende difficile giustificare i film fatti dopo, che spesso hanno il beneficio del senno di poi ma poca sostanza da dire su ciò che vedono nel retroscena. Sappiamo di più, molto di più, su Hitler oggi che nel 1940. Perché dovremmo lasciare che qualcuno se la cavi dicendo meno?

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Nicole Kidman/Gretchen Carlson
Nicole Kidman come Gretchen Carlson
Kidman interpreta Carlson, che ha passato un anno a registrare episodi di presunte molestie prima di fare causa ad Ailes nel 2016, scatenando una reazione a catena che si è riverberata in tutta la Fox e nei media più in generale.

A sinistra, di Steve Granitz/WireImage; a destra, di Presley Ann/Patrick McMullan/Getty Images.

Charlize Theron/Megyn Kelly
Charlize Theron come Megyn Kelly
Anche senza le protesi che la trasformano ulteriormente, la vincitrice dell’Oscar è un sosia di Kelly, che ha raccontato numerosi casi di presunte molestie – compreso un incidente in cui Ailes avrebbe cercato di baciarla sulle labbra – nel suo libro di memorie del 2016, Settle for More.

A sinistra, di JB Lacroix/Getty Images; a destra, di Phillip Faraone/Getty Images.

John Lithgow, Roger Ailes
John Lithgow come Roger Ailes
Il sei volte vincitore di un Emmy Lithgow dirigerà il film nel ruolo di Ailes, un titano che si dimise da Fox News dopo le accuse di cattiva condotta sessuale – e morì quasi un anno dopo.

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Margot Robbie
Margot Robbie come Kayla Pospisil
Robbie è la più grande star del film a non interpretare una persona reale: assumerà il ruolo di Kayla Pospisil, un produttore associato di Fox News inventato per il film.

Di Alberto E. Rodriguez/Getty Images.

Connie Britton, Beth Ailes
Connie Britton nel ruolo di Beth Ailes
La star di Nashville e Friday Night Lights entra nel cast nel ruolo di Beth Ailes, moglie di Roger.

A sinistra, di Gregg DeGuire/Getty Images; a destra, di David X. Prutting/BFA/REX/.

Allison Janney, Susan Estrich
Allison Janney come Susan Estrich
La Janney, vincitrice di un Oscar, interpreterà la Estrich, l’avvocato di Ailes che ha studiato ad Harvard.

A sinistra, di Randy Shropshire/Getty Images; a destra, di Frederick M. Brown/Getty Images.

Elisabeth Rohm/Martha MacCallum
Elisabeth Röhm come Martha MacCallum
L’avvocatessa di origini tedesche ivLa tedesca di nascita Law & Alum di Order interpreta una delle personalità della Fox sullo schermo, la co-conduttrice della copertura elettorale Martha MacCallum, che ha difeso Ailes mentre le accuse montavano.

A sinistra, di Gregg DeGuire/WireImage, a destra, di Theo Wargo/Getty Images.

Alanna Ubach/Jeanine Pirro
Alanna Ubach come Jeanine Pirro
Ubach, meglio conosciuta per il doppiaggio e il suo ruolo in Legally Blonde, interpreta il giudice diventato conduttore di Fox News, che ha difeso Ailes dopo la causa della Carlson.

A sinistra, di Albert L. Ortega/Getty Images; A destra, John Lamparski/Getty Images.

Malcolm McDowell/Rupert Murdoch
Malcolm McDowell come Rupert Murdoch
L’attore inglese, un veterano del palcoscenico e degli schermi grandi e piccoli, affronta uno dei più feroci magnati dei media di tutti i tempi: Il capo della News Corp Rupert Murdoch, diventato amministratore delegato ad interim di Fox News dopo le dimissioni di Ailes.

A sinistra, di Desiree Navarro/Getty Images; a destra, di Noam Galai/Getty Images.

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Ben Lawson come Lachlan Murdoch
L’attore che ha interpretato memorabilmente Larry Hemsworth in The Good Place entrerà nei panni del figlio di Murdoch che ora è il presidente esecutivo e CEO della Fox Corporation.

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Ashley Greene come Abby Huntsman
L’ex allieva di Twilight Greene interpreta la giornalista di Fox News Huntsman, che ha lasciato la rete nel 2018 per diventare conduttrice di The View.

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Bree Condon come Kimberly Guilfoyle
Guilfoyle ha esteso il suo contratto con Fox sulla scia dello scandalo Ailes ed è stata ospite di The Five prima di lasciare il network nel 2018 – solo per diventare ancora più famosa come fidanzata di Donald Trump Jr.

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Spencer Garrett come Sean Hannity
Il caratterista affronterà il fedelissimo di Ailes Sean Hannity, che è rimasto al fianco del suo capo (e alla fine del suo ex-capo) fino alla fine – chiamando Ailes un “grande guerriero patriottico” quando è morto.

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P.J. Byrne come Neil Cavuto
Riportando la notizia della morte di Ailes nel 2017, Cavuto ha detto in onda su Fox Business: “Ora non è il momento di rinfocolare le polemiche – tanto non so ora come non sapevo davvero allora. Ma… qualunque cosa si possa pensare del messaggero, che nessuno dubiti del messaggio di Roger Ailes.”

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Marc Evan Jackson nel ruolo di Chris Wallace
Un volto familiare da The Good Place e Brooklyn Nine-Nine, Jackson interpreta Wallace, che ha lavorato alla NBC e alla ABC prima di entrare alla Fox nel 2003, e rimane il conduttore di Fox News Sunday.

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Richard Kind come Rudy Giuliani
Kind indossa ampie protesi per interpretare Giuliani, che era un personaggio fisso di Fox News prima e dopo aver iniziato a servire come avvocato personale di Donald Trump. Si dice che Giuliani abbia aiutato a mediare l’uscita multimilionaria di Ailes dalla Fox.

A sinistra, di ANGELA WEISS/AFP; a destra, di Roy Rochlin, entrambi da Getty Images.

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Anne Ramsay come Greta Van Susteren
Van Susteren, che era stata un punto fermo di Fox News dal 2002, si è dimessa dalla rete nel 2016, scrivendo in un post su Facebook che si è pentita di non aver creduto alle accuse di molestie sessuali di Gretchen Carlson, e aggiungendo: “Mi dispiace che Roger Ailes non sia stato supervisionato da coloro che in una società pubblica avevano il dovere di supervisionarlo.”

A sinistra, di Randy Holmes/Walt Disney Television; a destra, di William B. Plowman/MSNBC, entrambi da Getty Images.

Alice Eve/Ainsley Earhardt
Alice Eve come Ainsley Earhardt
La star britannica di Star Trek Into Darkness interpreterà la co-conduttrice di Fox & Friends, che ha difeso Ailes come “uomo di famiglia” sulla stampa dopo la causa.

A sinistra, di Steve Granitz/WireImage; a destra, di Jamie McCarthy/Getty Images.

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